mercoledì 20 maggio 2015

OnExpo I Elisabetta Donadono

D. “Cibo è Vita” è lo slogan della campagna di comunicazione di EXPO 2015 basata su contrasti e affinità. Come giudica il format creativo e la scelta dell’immagine simbolo?

R. Lo slogan è chiaro ed efficace. E ho apprezzato il concept del logo, l’idea dei colori primari come base per la nascita di nuove sfumature come metafora della nutrizione nella quali pochi elementi base possono dare vita ad un enorme numero di combinazioni diverse mi sembra un buono spunto per la creatività che l’Expo vuole promuovere. Partire da poco per creare molto.


D. “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Quanto la corretta comunicazione può aiutare a veicolare i temi di EXPO?

R. Sicuramente l’Expo se accompagnato da una buona comunicazione può essere una vetrina d’eccezione per temi di fondamentale importanza quali l’equa distribuzione delle risorse alimentari nel Pianeta e l’utilizzo responsabile del territorio. L’ambito di internazionalità in cui si svolge può aiutare a sensibilizzare verso una serie di problematiche di natura sociale e ambientale, premiando al tempo stesso creatività e coraggio. L'attuale percorso sconta però i ritardi nel settore della comunicazione dell'evento dovuti principalmente a due fattori: le vicende giudiziarie legate alla nascita dell'Expo ed alcune campagne di comunicazione che sarebbero dovute partire molto tempo prima dell'evento. La prima questione ha fatto da apripista in negativo perché i fatti di cronaca giudiziaria hanno sottolineato l'aspetto affaristico, illegale ed illecito. Si è generata così nei cittadini italiani e del resto dei paesi l'idea che l'EXPO targato Italia,  fosse l'ennesima vicenda all''italiana, dove prevalessero interessi mafiosi e privatistici. La seconda, credo sia legata a schemi di pianificazione della comunicazione attuati in ritardo. Soltanto a partire dal primo maggio  vi è stato un battage mediatico che ha risvegliato l'attenzione in positivo nei confronti della manifestazione. Battage dovuto ai media direttamente interessati all'Expo.

D. Quale ritiene possano essere le parole chiave per comunicare l’evento EXPO?

R. Trasparenza e innovazione. Quello su cui molta gente ha bisogno di essere rassicurata è il fatto che l’innovazione in ambito alimentare non sia legata solo agli interessi delle grandi aziende produttrici, ma anche e soprattutto ad effettivi benefici per i consumatori.  Inoltre, da un punto di vista regionale, il Sud Italia è fortemente legato alla sua tradizione in campo alimentare, per cui si dovrebbe puntare su una pubblicizzazione dell’innovazione come una realtà non in conflitto con la conservazione dell’identità locale bensì a supporto di quest’ultima. Identità che può essere altra parola chiave declinata con cambiamento. Identità in direzione di cambiamento. Un tema fondamentale per far capire che il cibo è un prodotto di larga scala e che pertanto deve scontare in positivo e negativo le caratteristiche di una industria di produzione per milioni di consumatori. Ciò non significa che si debbano produrre alimenti che fanno male. Bisognerebbe avviare processi di conoscenza a tutti i livelli e non soltanto con singole campagne spot o di singole categorie di soggetti della catena alimentare ma coniugando i diversi aspetti e fasi. Altrimenti le parole chiave rimarranno PAROLE.


D.  “Feed your future – Il coraggio di raccontare i numeri” è il contest con cui si è avviata la ricerca di giovani inviati per raccontare EXPO durante il periodo dell’evento. Si può considerare una buona opportunità per chi intende intraprendere la professione di giornalista?

R.  Certo si prospetta come un’ottima occasione per aspiranti giornalisti visto l’ampio spettro di eventi e la portata internazionale del’Expo. Tuttavia stando al bando del contest “Vogliamo si racconti lo slancio, tra visione e intuizione, di chi osa innovare processi e prodotti e far misurare i risultati delle proprie azioni.” Questo suona più come un incitamento alla pubblicizzazione dell’Expo. Suppongo che non dovrebbe esserci una richiesta esplicita di ciò che si vuole ritrovare negli articoli. Potranno mai questi 8 ragazzi scrivere qualcosa di critico nei confronti dell’Expo ma perfettamente compatibile con il giornalismo, ed essere premiati ugualmente? Inoltre, bisognerebbe affrontare il tema di non poco conto cosa significa essere giornalisti oggi alla luce delle nuovi strumenti di informazione ed alla luce della nascita di figure come i blogger del food dietro i quali si nascondo interessi economici di non poco conto atteso che qualcuno cita questo o quel prodotto facendolo passare per eccellente soltanto perché è pagato da quel produttore. Ovviamente non mi riferisco all'Expo ma alle modalità in cui sta evolvendo il giornalismo nel settore a metà tra informazione e comunicazione. Un tempo i giornalisti enogastronomici provavano i  cibi in anonimato, a pagamento, e poi scrivevano, oggi, non soltanto ci si manifesta di essere giornalisti prima, durante e dopo l'assaggio, ma si pretende di mangiare gratis e via social si pubblicizza il prodotto oppure si pretende di far passare un evento di promozione, quindi marketing, come una notizia giornalistica. Insomma c'è gran confusione e di questo non si può non tener conto atteso che l'EXPO verte sul cibo e dintorni.

D. In che modo i giornalisti possono sostenere la costruzione di un futuro equo e sostenibile?

R. Il ruolo dei giornalisti nella costruzione di un futuro equo e sostenibile dovrebbe essere quello di fornire al lettore un’informazione trasparente, un banco di confronto tra punti di vista diversi in modo da fornire tutti gli elementi necessari all’opinione pubblica non avendo alla base un giudizio preconfezionato e di parte, ma piuttosto orientati allo sviluppo della capacità di formulare un giudizio in autonomia. Un futuro equo e sostenibile può infatti scaturire solo dalla comune consapevolezza della necessità di cooperare per migliorare le condizioni di disuguaglianza e sfruttamento che vessano e dividono la società globale. I giornalisti devono recuperare il loro ruolo 'terzo' di osservatori, mediatori, tra le fonti ed il pubblico. Non possono essere protagonisti di decisioni, interventi, eventi, iniziative e quant'altro. Il giornalista dovrebbe essere un po' come i missionari mettere a disposizione un servizio: la capacità di raccogliere informazioni corrette da tutte le visuali e riportarle attraverso tutti gli strumenti a disposizione. Immagino un giornalista che faccia un voto di 'castità' non mi arricchirò di potere, soldi e vanità ma mi arricchirò di informazioni per metterle a disposizione del pubblico. Questo servizio non può e non potrà essere svolto da tutti, nel senso che non basta avere un telefonino di ultima generazione o un profilo o pagina sociale per informare, bisognerà esserlo in base alle capacità personali, alle competenze ed alla continua formazione. E tutto nei tempi EXPO non potrà essere realizzato o inventato. Chi in questo momento è già un vero giornalista potrà raccontare e non sostenere un futuro equo e sostenibile. Il 'sostenere' qualcuno o qualcosa appartiene ad altri lavori. Noi dobbiamo e dovremo raccontare chi, come, perché, quando e dove ci sono persone, attività e progetti che operano in una versione equo e sostenibile, chi invece bara e dice bugie e chi avvia percorsi in tale senso.

D. Quale sarà, secondo Lei, l’eredità che verrà lasciata da Expo 2015?



R. E' ancora preso per dirlo. Tra le altre cose in cantiere, bisognerà comprendere, ad esempio, cosa significheranno strumenti come la Carta di Milano una lista di firme di personaggi che la utilizzano per dire di essere dalla parte di un futuro equo, sostenibile, sociale, ecocompatibile etc.? oppure un programma che sarà fatto proprio da tutti i governi dei paesi partecipanti all'Expo? 


Intervista a cura di Isabella Lisi

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