OnExpo | Carlo Ratti
“Nutrire il Pianeta, Energia per
la vita” è il motto di EXPO 2015. Quale significato assume per Lei questo
slogan?
Credo che uno degli aspetti più
interessanti di Expo sia che funziona come una forma di crowdsourcing: molte
persone convergono in un unico posto e mettono insieme le proprie
esperienze. Questa comunità di sapere può davvero funzionare come motore di crescita.
Un’eredità fatta non di monumenti, ma di idee e innovazione.
Il Future Food District da Lei
progettato è il cuore pulsante di EXPO Milano 2015, posto all’incrocio tra il
Cardo e il Decumano dell’esposizione. Ci spiega da cosa e come nasce l’idea di
progetto di quest’area tematica?
Siamo partiti dall’idea che i
prodotti possano raccontarci le loro storie. Un’immagine che mi è sempre
piaciuta è quella del signor Palomar di Italo Calvino che, immerso in
una fromagerie parigina, ha l’impressione di trovarsi in un museo o
in un’enciclopedia: “Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un
diverso verde sotto un diverso cielo (…) Questo negozio è un museo: il signor
Palomar visitandolo sente, come al Louvre, dietro ogni oggetto esposto la
presenza della civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma.” Vogliamo
mostrare come sta evolvendo la filiera alimentare e come le nuove tecnologie
possano permetterci di avere un contatto più diretto con il cibo.
Future Food District è il museo
del cibo, il supermercato del futuro in cui la tecnologia annulla le barriere
esistenti tra produttore e consumatore. Crede che la possibilità dei prodotti
di raccontarsi possa cambiare in meglio le nostre abitudini alimentari?
Non lo chiamerei museo del cibo –
è un supermercato dove esploriamo alcun nuove interazioni. Mi piace pensare che
le nuove tecnologie della rete possano aiutarci a riconnetterci con la catena
alimentare. Una filiera trasparente potrebbe un primo importante passo per
garantire a tutti una maggior conoscenza dei prodotti della terra - magari
accorciando le “strade del cibo” e favorendo la valorizzazione dei prodotti
locali.
I prodotti sono disposti su
grandi tavoli interattivi che, collegati a un sistema di sensori
cinetici e
grandi schermi sospesi, danno modo al consumatore di ottenere e visualizzare
delle vere e proprie etichette aumentate, attraverso le quali conoscere le
proprietà nutritive e l’origine dei prodotti.
Abbiamo cercato di pensare a uno
spazio che sia, per molti versi, simile a un antico mercato, annullando le
barriere verticali e creando un paesaggio orizzontale. Vogliamo recuperare la
concezione del luogo di acquisto come spazio di scambio e interazione, in cui
il consumatore può essere anche produttore, come accade nella rete con le
dinamiche peer to peer.
Potremmo pensare
il supermercato del futuro come luogo di scambio aperto a tutti? Nel
solco della tradizione cooperativa italiana, abbiamo proposto che alcune aree
siano dedicate proprio a produttori/consumatori, che possono usare il
supermercato come un’area di libero scambio.
Nonostante il supermercato del
futuro si avvalga di tecnologie che mettono in vista le “etichette aumentate”
dei prodotti, l’uomo resta sempre al centro del Future Food District, anzi
amplifica le proprie possibilità di incontro con nuove culture, storie e
tradizioni anche lontane. E’ questo secondo Lei uno dei casi in cui, più di
altri, l’architettura è per comunicare?
L’architettura ha e ha sempre
avuto il compito di creare nuove interfacce tra le persone e l’ambiente
circostante. Oggi, grazie alle tecnologie della rete, l’ambiente costruito può risponderci meglio. In questo caso l’architettura fornisce informazioni e
facilita l’interazione tra persone e prodotti e tra persona e persona.
Quando si progetta uno spazio
così vasto e significativo quale l’area tematica del Future Food District,
quali devono essere le abilità dei progettisti da mettere in campo per far
sentire i fruitori a proprio agio?
Per il FFD abbiamo lavorato su
uno spazio dato, già definitivo. Abbiamo quindi cercato
di trasformarlo in un laboratorio vivo, pensando proprio all’esperienza
del visitatore. Si tratta di un vero e proprio supermercato, come abbiamo
detto. Direi quindi questo: concentrarsi più sull’esperienza e meno
sull’architettura costruita.
Quali sono state le scelte
sostenibili del Suo progetto?
In generale crediamo che proprio
l’informazione possa essere un motore per la sostenibilità,
dal momento che può
innescare dinamiche comportamentali virtuose. Inoltre all’esterno ci
interessava far vedere come la produzione possa tornare nelle nostre città. La
piazza antistante il padiglione ospita grandi aiuole coltivate, prototipi di
coperture in microalghe e coltivazioni idroponiche.
Siamo convinti che le
nuove tecniche di coltivazione urbana potrebbero tramutare spazi solitamente
inutilizzati in aree produttive. Credo che sarà interessante vedere se l'urban
farming prenderà davvero piede: gli effetti potrebbero essere dirompenti,
non tanto dal punto di vista della quantità di cibo prodotta, bensì per la
possibilità creare un rapporto più diretto tra cittadini e natura.
Se dovesse dare uno slogan al Suo
padiglione quale sceglierebbe?
Citerei Alan Key, secondo il
quale “Il miglior modo di predire il futuro è inventarlo”. Questo è per noi la
progettazione. Non l’inutile rincorsa della previsione, bensì un’occasione
di sperimentazione (condivisa con i visitatori) per accelerare la
trasformazione del presente. Qualcosa di simile all’idea di “anticipatory
design” – o progettazione preventiva - teorizzata nel ventesimo secolo
dal grande inventore americano Buckminster Fuller.
Cosa si aspetta che i visitatori
colgano nel percorrere il Padiglione da Lei progettato?
L’importanza del mondo delle
informazioni. Alcuni aspetti del progetto avranno più successo, altri meno – lo
scopriremo durante i sei mesi dell’Esposizione Universale. Ma questo ci sembra
il fattore più interessante: sfruttare un grande evento per effettuare un
esperimento insieme a decine di migliaia di persone. Un test da cui tutti
impareremo tutti molte lezioni, alcune delle quali potranno poi essere
trasferite al mondo reale.
In che ruolo architetti urbanisti
e designer possono partecipare alla costruzione di un futuro equo e
sostenibile?
Nel proporre nuove idee, che poi
possono essere sperimentate e dibattute da molte persone. Un approccio
partecipato alla costruzione del futuro, come
nel testo Architettura Open
Source (Einaudi,. 2014). Credo molto nelle dinamiche partecipative che nascono
dal basso, guidate però da un direttore d’orchestra capace di armonizzare varie
voci. Questo per me è il ruolo dell’architetto oggi – un “architetto corale”.
Quale sarà l’eredità che verrà
lasciata da Expo 2015?
Data l'impostazione iniziale
sappiamo che molti edifici non resteranno – ci auguriamo che resti soprattutto
un'eredità di idee e innovazione.
Intervista a cura di Romina Muccio
Carlo Ratti | Architetto e ingegnere, lavora in Italia e insegna presso il Massachusetts Institute of Technology, dove dirige il Senseable City Lab. E' laureato al Politecnico di Torino ed all'École Nationale des Ponts et Chaussées in Parigi; ha conseguito il suo MPhil e dottorato di ricerca presso l'Università di Cambridge, Regno Unito. Detiene diversi brevetti ed è co-autore di oltre 250 pubblicazioni. Oltre a collaborare regolarmente con la rivista di architettura Domus e il quotidiano italiano Il Sole 24 Ore, ha scritto per la BBC, La Stampa, Scientific American e The New York Times.
Il suo lavoro è stato esposto in tutto il mondo in luoghi come la Biennale di Venezia, il Design Barcellona Museo, il Museo delle Scienze di Londra, GAFTA a San Francisco, il MoMA di New York e MAXXI di Roma. Al World Expo 2008, il suo Digital Water Pavilion è stato salutato dalla rivista TIME come una delle 'migliori invenzioni dell'anno'. Nel 2011 gli è stato assegnato il premio Fondazione Renzo Piano per i Nuovi Talenti in Architettura. E' stato direttore del programma presso lo Strelka Institute for Media, Architettura and Design a Mosca, curatore del 2012 BMW Guggenheim Pavilion a Berlino, ed è stato nominato 'Inaugural Innovator in Residence' da parte del governo del Queensland. Il ministro italiano della Cultura lo ha nominato membro del Consiglio Italiano del Design, un comitato consultivo, che include 25 leader del design in Italia. Attualmente fa parte del World Economic Forum ‘Global Agenda Council for Urban Management’ed è curatore del' padiglione Future Food District per l'Expo 2015.
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