venerdì 5 giugno 2015

OnExpo | Carlo Ratti

OnExpo | Carlo Ratti

“Nutrire il Pianeta, Energia per la vita” è il motto di EXPO 2015. Quale significato assume per Lei questo slogan?

Credo che uno degli aspetti più interessanti di Expo sia che funziona come una forma di crowdsourcing: molte persone convergono in un unico posto e mettono insieme le proprie esperienze. Questa comunità di sapere può davvero funzionare come motore di crescita. Un’eredità fatta non di monumenti, ma di idee e innovazione.

Il Future Food District da Lei progettato è il cuore pulsante di EXPO Milano 2015, posto all’incrocio tra il Cardo e il Decumano dell’esposizione. Ci spiega da cosa e come nasce l’idea di progetto di quest’area tematica?

Siamo partiti dall’idea che i prodotti possano raccontarci le loro storie. Un’immagine che mi è sempre piaciuta è quella del signor Palomar di Italo Calvino che, immerso in una fromagerie parigina, ha l’impressione di trovarsi in un museo o in un’enciclopedia: “Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo (…) Questo negozio è un museo: il signor Palomar visitandolo sente, come al Louvre, dietro ogni oggetto esposto la presenza della civiltà che gli ha dato forma e che da esso prende forma.” Vogliamo mostrare come sta evolvendo la filiera alimentare e come le nuove tecnologie possano permetterci di avere un contatto più diretto con il cibo.

Future Food District è il museo del cibo, il supermercato del futuro in cui la tecnologia annulla le barriere esistenti tra produttore e consumatore. Crede che la possibilità dei prodotti di raccontarsi possa cambiare in meglio le nostre abitudini alimentari?

Non lo chiamerei museo del cibo – è un supermercato dove esploriamo alcun nuove interazioni. Mi piace pensare che le nuove tecnologie della rete possano aiutarci a riconnetterci con la catena alimentare. Una filiera trasparente potrebbe un primo importante passo per garantire a tutti una maggior conoscenza dei prodotti della terra - magari accorciando le “strade del cibo” e favorendo la valorizzazione dei prodotti locali. 

I prodotti sono disposti su grandi tavoli interattivi che, collegati a un sistema di sensori
cinetici e grandi schermi sospesi, danno modo al consumatore di ottenere e visualizzare delle vere e proprie etichette aumentate, attraverso le quali conoscere le proprietà nutritive e l’origine dei prodotti. 

Abbiamo cercato di pensare a uno spazio che sia, per molti versi, simile a un antico mercato, annullando le barriere verticali e creando un paesaggio orizzontale. Vogliamo recuperare la concezione del luogo di acquisto come spazio di scambio e interazione, in cui il consumatore può essere anche produttore, come accade nella rete con le dinamiche peer to peer.

Potremmo pensare il supermercato del futuro come luogo di scambio aperto a tutti? Nel solco della tradizione cooperativa italiana, abbiamo proposto che alcune aree siano dedicate proprio a produttori/consumatori, che possono usare il supermercato come un’area di libero scambio. 

Nonostante il supermercato del futuro si avvalga di tecnologie che mettono in vista le “etichette aumentate” dei prodotti, l’uomo resta sempre al centro del Future Food District, anzi amplifica le proprie possibilità di incontro con nuove culture, storie e tradizioni anche lontane. E’ questo secondo Lei uno dei casi in cui, più di altri, l’architettura è per comunicare?

L’architettura ha e ha sempre avuto il compito di creare nuove interfacce tra le persone e l’ambiente circostante. Oggi, grazie alle tecnologie della rete, l’ambiente costruito può risponderci meglio. In questo caso l’architettura fornisce informazioni e facilita l’interazione tra persone e prodotti e tra persona e persona.

Quando si progetta uno spazio così vasto e significativo quale l’area tematica del Future Food District, quali devono essere le abilità dei progettisti da mettere in campo per far sentire i fruitori a proprio agio? 

Per il FFD abbiamo lavorato su uno spazio dato, già definitivo. Abbiamo quindi cercato di trasformarlo in un laboratorio vivo, pensando proprio all’esperienza del visitatore. Si tratta di un vero e proprio supermercato, come abbiamo detto. Direi quindi questo: concentrarsi più sull’esperienza e meno sull’architettura costruita.

Quali sono state le scelte sostenibili del Suo progetto?

In generale crediamo che proprio l’informazione possa essere un motore per la sostenibilità,
dal momento che può innescare dinamiche comportamentali virtuose. Inoltre all’esterno ci interessava far vedere come la produzione possa tornare nelle nostre città. La piazza antistante il padiglione ospita grandi aiuole coltivate, prototipi di coperture in microalghe e coltivazioni idroponiche. 

Siamo convinti che le nuove tecniche di coltivazione urbana potrebbero tramutare spazi solitamente inutilizzati in aree produttive. Credo che sarà interessante vedere se l'urban farming prenderà davvero piede: gli effetti potrebbero essere dirompenti, non tanto dal punto di vista della quantità di cibo prodotta, bensì per la possibilità creare un rapporto più diretto tra cittadini e natura. 

Se dovesse dare uno slogan al Suo padiglione quale sceglierebbe? 

Citerei Alan Key, secondo il quale “Il miglior modo di predire il futuro è inventarlo”. Questo è per noi la progettazione. Non l’inutile rincorsa della previsione, bensì un’occasione di sperimentazione (condivisa con i visitatori) per accelerare la trasformazione del presente. Qualcosa di simile all’idea di “anticipatory design” – o progettazione preventiva - teorizzata nel ventesimo secolo dal grande inventore americano Buckminster Fuller.

Cosa si aspetta che i visitatori colgano nel percorrere il Padiglione da Lei progettato?

L’importanza del mondo delle informazioni. Alcuni aspetti del progetto avranno più successo, altri meno – lo scopriremo durante i sei mesi dell’Esposizione Universale. Ma questo ci sembra il fattore più interessante: sfruttare un grande evento per effettuare un esperimento insieme a decine di migliaia di persone. Un test da cui tutti impareremo tutti molte lezioni, alcune delle quali potranno poi essere trasferite al mondo reale.

In che ruolo architetti urbanisti e designer possono partecipare alla costruzione di un futuro equo e sostenibile?

Nel proporre nuove idee, che poi possono essere sperimentate e dibattute da molte persone. Un approccio partecipato alla costruzione del futuro, come 
nel testo Architettura Open Source (Einaudi,. 2014). Credo molto nelle dinamiche partecipative che nascono dal basso, guidate però da un direttore d’orchestra capace di armonizzare varie voci. Questo per me è il ruolo dell’architetto oggi – un “architetto corale”.

Quale sarà l’eredità che verrà lasciata da Expo 2015? 

Data l'impostazione iniziale sappiamo che molti edifici non resteranno – ci auguriamo che resti soprattutto un'eredità di idee e innovazione.

Intervista a cura di Romina Muccio

Carlo Ratti | Architetto e ingegnere, lavora in Italia e insegna presso il Massachusetts Institute of Technology, dove dirige il Senseable City Lab. E' laureato al Politecnico di Torino ed all'École Nationale des Ponts et Chaussées in Parigi; ha conseguito il suo MPhil e dottorato di ricerca presso l'Università di Cambridge, Regno Unito. Detiene diversi brevetti ed è co-autore di oltre 250 pubblicazioni. Oltre a collaborare regolarmente con la rivista di architettura Domus e il quotidiano italiano Il Sole 24 Ore, ha scritto per la BBC, La Stampa, Scientific American e The New York Times.
Il suo lavoro è stato esposto in tutto il mondo in luoghi come la Biennale di Venezia, il Design Barcellona Museo, il Museo delle Scienze di Londra, GAFTA a San Francisco, il MoMA di New York e MAXXI di Roma. Al World Expo 2008, il suo Digital Water Pavilion è stato salutato dalla rivista TIME come una delle 'migliori invenzioni dell'anno'. Nel 2011 gli è stato assegnato il premio Fondazione Renzo Piano per i Nuovi Talenti in Architettura. E' stato direttore del programma presso lo Strelka Institute for Media, Architettura and Design a Mosca, curatore del 2012 BMW Guggenheim Pavilion a Berlino, ed è stato nominato 'Inaugural Innovator in Residence' da parte del governo del Queensland. Il ministro italiano della Cultura lo ha nominato membro del Consiglio Italiano del Design, un comitato consultivo, che include 25 leader del design in Italia. Attualmente fa parte del World Economic Forum ‘Global Agenda Council for Urban Management’ed è curatore del' padiglione Future Food District per l'Expo 2015.

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