martedì 1 luglio 2014

Il progetto di “edifici mondo” nel disegno di una mappa di centralità urbane per il recupero della città storica. Ipotesi di trasformazione del complesso conventuale di Gesù e Maria a Napoli

Ringraziamo l'architetto Mauro Vincenti, membro del nostro Comitato Scientifico per aver condiviso con noi e con voi lettori il suo validissimo contributo relativo al recupero della città storica e all'ipotesi di trasformazione del complesso Monumentale di Gesù e Maria a Napoli.



The theme of the article is inspired by a competition organized by
the Municipality of Salerno for the urban renewal of the old town through
the recovery of a number of buildings that the same notice defines "edifici
mondo". The '"edifici mondo", geographical coordinate of this invisible
urban map, although no longer in use and emptying of the old functions, if
properly revived and adapted to accommodate more appropriate
destinations, in line with its character-type morphology and architecture,
can assume the role hinge intone which renew the old relations with its
surroundings. The convent of the XVI century of Gesù e Maria, as well as,
that of San Francesco delle Cappuccinelle, San Giuseppe delle Scalze and
the Palazzo Spinelli di Tarsia, that climb on top of the area of Pontecorvo,
assume the role of eloquent images of architectural character and nature
strongly steep in the city. The identification of certain architectural structures
of particular value, that have lost their original function, and their own
location, has allowed us to define a tile of the mosaic monuments of the
historic center of Naples, within which mature hypothesis of renovatio urbis
Almagro, Chinchón, Tembleque, Ocaña e tante altre
incantevoli città si raccolgono intorno ad una mirabile piazza.
Colonne, archi, balconate; bellezza e socievolezza, senso di una
comunità, di un paese. È la piazza che fa una città, piccola o
grande; gli esterni contano più dei musei anche ricchi di capolavori.

Claudio Magris



L’opportunità di lavorare ad un progetto di ricerca inerente il tema della conservazione dei centri storici delle città, prende lo spunto da un concorso indetto dall’Amministrazione comunale di Salerno per il restauro urbano del centro storico della città attraverso il recupero di una serie di edifici che lo stesso bando definisce “edifici mondo”, assegnando loro alcune possibili destinazioni d’uso che ne possano esaltare i relativi caratteri tipo-morfologici e architettonici. Le architetture che abitano la città storica, vengono lette ed interpretate non più nella loro singolare specificità ma, piuttosto, ripensate quali componenti indispensabili di un più complesso sistema di spazi aperti, percorsi, piazze e corti, all’interno di una rinnovata rete urbana di luoghi collettivi. L’abbandono di una serie di attività economiche, sociali e culturali da alcuni edifici del centro storico richiede grossi sforzi di reinterpretazione di inedite relazioni con il contesto prima ignorato o quantomeno sottovalutato che conducono all’identificazione di nuove cerniere, organismi polivalenti permeabili attraverso i quali mettere in rete una serie di spazi pubblici ed aree urbane residuali.
Il progetto di identificazione di una serie di questi “edifici mondo”, che disegnano una nuova invisibile mappa urbana, ubicati in corrispondenza di percorsi e brani di città di particolare pregio, mira a disvelare le impercettibili tracce nascoste nel corpo della città, al fine di renderla accessibile, inclusiva e permeabile. 
La mappa della città di Roma, che Giovanni Battista Nolli disegna nel 1748, nella quale emerge una completa osmosi tra le architetture, le strade e le piazze urbane in una successione di pieni e di vuoti che si rincorrono senza soluzione di continuità, restituisce una lettura chiara della città in cui i cortili dei palazzi, le navate delle chiese ed i parchi sono trattati allo stesso modo delle piazze e delle strade nella loro continuità fisica di spazio condiviso.
La pianta del Nolli, primo rilievo scientifico della città di Roma, associata al momento dell’analisi oggettiva e razionale della realtà urbana, rimanda all’idea di città, palinsesto multiplo ereditato dalla storia che, in L’Architettura della Città di Aldo Rossi, si compone “per parti dialettiche”, l’area residenza e gli elementi primari.
L’“edificio mondo”, coordinata geografica di questa rinnovata mappa urbana, seppur in disuso e svuotato delle antiche funzioni, se opportunamente rianimato ed adattato ad essere abitato da attività compatibili senza alterarne la struttura originaria, «… implica inoltre le relazioni dell’edificio con il tessuto urbano, poiché permette di misurare il suo effetto centripeto o, al contrario, la sua area di influenza: espressa in questi termini, la connotazione della funzione seconda si identifica con la dimensione urbana.» Per il tessuto urbano della città, quanto, per le singole architetture che la abitano, 

… la permanenza senza fine significa perdita progressiva di direzione
e regole, e incapacità di rigenerarsi, traendo dalla crisi e dalla rottura
l’energia per ridisegnare il proprio futuro. Se non c’è fine, non ci può essere
nemmeno nuovo inizio. Proprio per questo le forme di deperimento, di
distruzione, di rapido declino cui assistiamo possono in realtà trasformarsi in
formidabili possibilità progettuali […], occasioni di ripensamento, occasioni
per immaginare traiettorie di sviluppo meno indifferenti ai propri contesti,
capaci di produrre meno esternalità negative, di immaginare principi di
rigenerazione anche solo interstiziali.

La restituzione di adeguate e compatibili funzioni a talune architetture, veri e propri contenitori urbani, rende denso di significato lo spazio pubblico con il quale tali architetture dialogano.
La riconfigurazione di tali architetture permette di riannodare i fili invisibili delle relazioni interrotte tra brani di città marginalizzati, assicurando una continuità che misura e interpreta, dal punto di vista topologico, le distanze, i dislivelli e le differenze di quota. 
Il ridisegno e la riconfigurazione di talune architetture e degli spazi urbani al loro intorno, permette di rinnovare la sequenza urbana che si snoda attraverso la pedamentina, la piazza, lo slargo ed il cortile, in un alternarsi ritmico di pieni e di vuoti che si rincorrono senza soluzione di continuità, reinterpretando nuove relazioni urbane e, al contempo, recuperando quei camminamenti, frammenti di un mondo rurale oramai scomparso, che si inerpicano dal mare, attraverso il centro, sin sulla collina, serpeggiando tra palazzi e terreni, dai quali è possibile catturare scorci suggestivi della città. 
La giacitura di tali architetture, tessere significative di un mosaico di centralità che abitano talune spine pedonali, identificano l’antico rapporto tra la parte alta e la parte bassa della città, tenendo conto sia delle trasformazioni fisiche che delle conseguenti rinnovate modalità di percezione dello spazio urbano.

L’organizzazione urbana dei volumi e delle superfici, la loro
distribuzione funzionale sul terreno, le emergenze verticali e le linee di fuga, le
trasparenze e le opacità, i vuoti e i pieni, insomma tutta la struttura
architettonica che racchiude, distribuisce e disciplina l’esistenza collettiva,
divennero l’unico sfondo paesaggistico sul quale proiettare i sentimenti di
appartenenza, di adesione affettiva, di slancio ammirativo.


Gli invasi, si configurano quali elementi strutturanti dell’armatura urbana capaci di connettere brani di città riannodando i fili di quelle relazioni ormai interrotte, tramutandole in sapienti articolazioni di sequenze di pieni e di vuoti. 
Il progetto, quale dispositivo di misurazione della resistenza dei luoghi ad essere trasformati, nel definire una serie di ambiti morfologicamente significativi. ha individuato la forma e la figura dei nuovi spazi collettivi tale da ridisegnare un sistema continuo di aree e spazi interstiziali residuali. Le architetture di questi manufatti edilizi, strategici punti di ancoraggio di una mappa invisibile di un arcipelago urbano di isole culturali e di servizio, definiscono una molteplicità di cerniere urbane intorno ed attraverso le quali rinnovare un sistema complesso di relazioni.
Come su una rete invisibile ma resistente, l’incomunicabilità che appare fra i frammenti che abitano la città, attraverso la loro appropriata ricollocazione all’interno di una rinnovata dinamica urbana, permette di orientare i tracciati e la sequenza ritmica di spazi urbani definendo una nuova mappa mnemonica ed esperienziale. 
La manipolazione della materia e della sostanza edilizia di cui è costituita l’architettura di questi “edifici mondo”, permette di mutare il loro carattere di luoghi introversi, di recinti invalicabili, di enclaves imprescrutabili e di spazi interrotti protetti da soglie e bordi normati, in luoghi porosi e permeabili, terminali e cerniere di una nuova urbanità, avamposti di una rinnovata qualità urbana, eredità più significativa della città storica.







Il complesso conventuale del XVI secolo di Gesù e Maria, adibito ad ospedale intorno al 1860 a seguito della politica di confisca dei beni degli ordini ecclesiastici da parte del governo francese, nonché, quello di San Francesco delle Cappuccinelle, sede dell’Istituto Filangieri, trasformato nel 1809 per ordine di Gioacchino Murat in riformatorio minorile, convertendo, così, il monastero del XVI secolo e la chiesa di San Giuseppe delle Scalze, il cui apparato architettonico-scenografico della doppia facciata fu disegnato da Cosimo Fanzago intorno alla metà del XVII secolo, e lo stesso Palazzo Spinelli di Tarsia prospiciente l’ampio ed elegante piazzale antistante, realizzato nel corso del Settecento da Domenico Antonio Vaccaro, che si inerpicano sulla sommità della zona di Pontecorvo, per la loro dimensione ed articolazione, assumono il ruolo di immagini eloquenti del carattere architettonico e della natura fortemente acclive della città.
L’individuazione di alcuni manufatti architettonici di particolare pregio che hanno perduto la loro originaria funzione  ha permesso di definire una specifica porzione di area monumentale strategica del centro storico di Napoli, all’interno della quale maturare un’idea di recupero ed un’ipotesi fondamentale di renovatio urbis, quale possibilità di ridefinire identità, ruolo e modo di funzionare della città. La concatenazione di tali significative emergenze monumentali conferisce una notevole ricchezza spaziale all’intero tracciato che si inerpica sulla collina, elemento costitutivo del tessuto urbano la cui qualità

…si fonda sulla sua pertinenza funzionale, monumentale (gerarchie)
e dimensionale (larghezza, lunghezza e maglia). Un tracciato è sempre
gerarchizzato: gerarchie tecniche, funzionali, simboliche e monumentali. Esso
dovrà dunque essere determinato da una gerarchia istituzionale nella stessa
misura in cui a sua volta determina lo spazio monumentale della città. […] Si
tratta essenzialmente della distribuzione delle istituzioni, dei servizi sul territorio
conformemente a una gerarchia che traduce l’idea che una determinata
società si fa della città. la città non può fare a meno di simboli (segni di
riconoscimento), se non altro per ragioni di orientamento e di comprensione
degli abitanti.


L’analisi e l’indirizzo progettuale relativi agli aspetti tipo-morfologici del tessuto edilizio che mirano ad orientare una serie di interventi che reinterpretino la condizione dei manufatti monumentali esistenti e ne consolidino i caratteri peculiari, consentono di interpretare i processi di formazione e trasformazione del tessuto edilizio, di individuare quelle parti dell’impianto urbano da salvaguardare o, piuttosto, da modificare e di circoscrivere le aree deboli. 
La comprensione critica dei singoli “edifici mondo”, attraverso cui mettere in risalto le singole strutture dal punto di vista tettonico e volumetrico, nonché, da quello tipologico, e la loro
interrelazione con l’orografia acclive del terreno, permette di intervenire sui singoli manufatti urbani e sull’isolato, per riorientare e ricomporre questo brano monumentale della città storica.





L’architettura è porosa quanto questa pietra. Costruzione e azione si compenetrano in cortili, arcate e scale. Ovunque viene mantenuto dello spazio idoneo a diventare teatro di nuove impreviste circostanze. Si evita ciòche è definitivo, formato. Nessuna situazione appare come essa è, pensata per sempre, nessuna forma dichiara il suo «così e non diversamente». […] la casa costituisce il nucleo dell’architettura urbana in senso nordico. All’interno invece tale nucleo è rappresentato dall’isolato, tenuto insieme agli angoli, come fossero grappe di ferro, dai dipinti murali raffiguranti la Madonna. Per orientarsi, nessuno usa i numeri civici. I punti di riferimento sono dati danegozi, fontane e chiese, ma neanche questi sono sempre chiari. Infatti la tipica chiesa napoletana non campeggia su una grande piazza,l ben visibile e con tanto di edifici trasversali, coro e cupola. Essa è nascosta e incassata; le alte cupole spesso si possono vedere solo da pochi punti, ma anche in questi casi non è facile raggiungerle; impossibile distinguere la massa della chiesa da quella degli edifici civili attigui.


Vittorio Gregotti, con il graduale e progressivo interesse per la città della storia, pone al centro del processo progettuale la nozione di appartenenza quale «…interesse per la storia della disciplina nella sua continuità, l’idea di luogo, di materiale come fondamento del progetto, di relazioni esistenti per le quali il processo di progettazione è in primo piano […] processo di modificazione.»
La natura interpretativa del progetto di architettura, quale risposta urbana nei processi di recupero della città consolidata, potrà, pertanto, attivare una trasformazione del contesto urbano ed individuare nuove relazioni capaci di “reintessere” il luogo o i frammenti che lo abitano, conferendo nuovo senso a parti esistenti del tessuto urbano. Il progetto di riuso e trasformazione degli spazi del complesso conventuale di Gesù e Maria quale luogo aperto e permeabile, si pone come obiettivo l’integrazione della storica struttura architettonica nell’ ambiente urbano.
 
Il complesso religioso, che occupa un punto strategico della prima importante espansione fuori porta Medina, conclude, attraverso una sequenza ininterrotta di monasteri, conservatori ed altre rilevanti architetture urbane, una fascia regolare di isolati in cui emerge, nella parte inferiore, il “gran palazzo” dei principi di Tarsia. 
Il convento, occupa lo spazio a disposizione tra salita Tarsia e via Gesù e Maria in modo esteso e completo con grandi spazi, chiostri e giardini, in struttura compatta ed introversa, senza dialogare con le strade; per questo, esso è un punto di arrivo e, col tempo, una porta ed un passaggio, condizione di cui il largo prospiciente la chiesa consolida il ruolo, il quale, ovviamente cambierà, nell’Ottocento con l’apertura del Corso Vittorio Emanuele e piazza Mazzini.



Una qualunque ipotesi di trasformazione del complesso conventuale di Gesù e Maria dovrà tener conto di una visione progettuale d’insieme per un luogo tanto significativo che presenta una grande ricchezza di edifici collettivi. La parte più significativa del complesso architettonico non è l’edificio in sé, ma il suo elemento di transizione con la città, i suoi cortili interni, le piazze e gli slarghi che gravitano intorno al suo perimetro. La conformazione di tale area urbana e l’ubicazione del complesso architettonico sembrano suggerire un rinnovato dialogo tra esterno ed interno, mediante l’abbattimento dei confini tradizionali tra le aree e gli spazi specialistici che il manufatto potrebbe accogliere e quelli propri della città,  reinventando quei luoghi che la città ha già al suo interno.

“…lo spazio del pubblico nella città antica si infila dentro le cose e
dentro le case; diventa sagrato e poi, quasi impercettibilmente, portico,
chiostro, chiesa, sottoportico, dando luogo ad una serie di dispositivi di
mediazione che collegano lo spazio più privato, riposto e segreto del giardino
e dell’abitazione allo spazio del pubblico. Nel tempo abbiamo perso la
ricchezza di questi dispositivi di mediazione che stanno in between, tra lo
spazio del pubblico e quello del privato, che antiche mappe, ad esempio la
sempre citata carta del Nolli per Roma, ci ricordano quanto fossero
importanti”.

Il rinnovato carattere di piazza pubblica e luogo collettivo dei chiostri interni l’edificio conventuale, permette una connessione diretta tra Piazza Mazzini e Piazza Gesù e Maria e la parziale riconfigurazione e continuità tra gli spazi aperti che abitano la città storica. 
La previsione di destinare i locali ubicati ai piani terra a laboratori artigiani e spazi per servizi alla città può essere complementare all’uso differenziato ed alle molteplici attività che possono abitare i livelli superiori, nei quali può essere ospitata una vera e propria casa della cultura, uno spazio polivalente con atelier e laboratori per artisti, un centro di fotografia, di danza e coreografia, di arti visive e teatrali, nonché, un luogo aperto alla città ed ai suoi flussi.
Gli spazi interni del complesso conventuale faranno parte di quel più articolato sistema di cortili e “chiostri laici” che si susseguono all’interno dell’impianto urbano del centro storico, arricchendone la sua stratificazione. Alla forma ermetica ed inaccessibile propria della struttura specialistica e monofunzionale dovrà, quindi, corrispondere un’architettura flessibile, polivalente, permeabile e aperta in grado di accogliere al suo interno quegli ambienti rituali propri della città.

“Chi rivisita con la memoria una città che ha conosciuto, sia come
turista che come pellegrino d’arte, si orienta di solito con punti di riferimento
(come le mede, per il marinaio che si avvicini a un posto) nettamente distinti
dalla massa delle costruzioni e quasi sempre si tratta di monumenti [per la
dimensione, la scala e la posizione che hanno]. È stano che – per una
tendenza meno naturale di quanto parrebbe – il carattere e l’essenza stessa
della città si concentrino in costruzioni che generalmente consideriamo
emblematiche senza renderci conto che la città stessa, indirettamente
rappresentata, tende a perdere in tal modo la densità che le appartiene.”


L’edificio, vera e propria soglia urbana, nonché, luogo di sosta, ricovero e riparo, potrà configurarsi quale cerniera intorno alla quale disegnare la spina dorsale di un organismo urbano capace di strutturare i vuoti circostanti in un insieme coerente ed articolato di parti. Tale ipotesi progettuale riproporrebbe quel sistema edificio-piazza-giardino in posizione elevata ed aperta sul paesaggio urbano, in cui si è trovato analogamente, nel seicento, il Palazzo Tarsia. 
La storia ed il futuro del complesso conventuale di Gesù e Maria sembrano appartenere al tema delle continue «rinascenze» di cui è intessuta la storia della grande architettura europea, «… quale risultato di ampliamenti, progetti interrotti, distruzioni, rifacimenti, modificazioni, ricostruzioni, ricollocazioni contestuali e riusi, legittimazione di interpretazioni, reinterpretazioni e modificazioni di senso, sul filo di una misteriosa continuità dei mutamenti.»

  Arch. Mauro Vincenti Ph.D


Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Salerno
Riferimenti bibliografici
Amin Ash e Nigel Thrift, Città. Ripensare la dimensione urbana, Il Mulino, Bologna 2005
Italo Ferraro, Napoli “Atlante della Città Storica”. Dallo Spirito Santo a Materdei, Napoli
C.Franco, A.Massarente e Trisciuoglio (a cura di), L’antico e il nuovo. Il rapporto tra città antica e architettura contemporanea, UTET Libreria, Torino 2002
K. Lynch, Immagine della città, Cambridge, Massachusssets, and London, 1960
Colin Rowe, Fred Koetter, Collage City, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 1981
C. Sitte , L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici (titolo originale Der Städte-Bau nach seinen Künsterlischen Grundsätzen, Wien 1889) traduzione di R. Della Torre, Milano 1981.

  

   



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